Nella revisione dell’International Classification of Diseases del maggio 2019 , in vigore dal 2020 , l’OMS ha riconosciuto il burnout come fenomeno occupazionale , una “sindrome” che è il risultato di condizioni di stress cronico, sul luogo di lavoro, non adeguatamente gestito. Il termine inglese burnout significa bruciato, scoppiato, esaurito , ed esprime bene il crollo mentale e fisico del lavoratore che ne è colpito, e che insorge quando le richieste superano le capacità di affrontarle. Il lavoro dovrebbe essere fonte di benessere per la salute mentale ,ma un ambiente non favorevole può portare a manifestazioni di sofferenza psico-fisica. Questo disturbo riguarda soprattutto le professioni d’aiuto, come quella di medici, infermieri ed oss, soggetti ad intenso coinvolgimento emotivo e fisico, operando quotidianamente a contatto con persone che vivono situazioni di grande sofferenza e necessità.
I dati raccolti negli ultimi 20 anni a livello globale mostrano che circa un terzo dei medici è in burnout , in qualsiasi momento, ed indipendentemente dalla propria specialità.
Ancora prima del COVID i medici erano a maggior rischio di burnout, depressione e suicidio rispetto ad altri professionisti. La pandemia ha innalzato a dismisura i livelli di stress e le sue conseguenze in tutte le categorie degli operatori sanitari , ma ora la tensione e le criticità continuano a mantenersi elevate anche se lo scenario pandemico è cambiato.Il contesto lavorativo in cui sono immersi gli operatori sanitari è caratterizzato dalla presenza di fattori di rischio psicosociale specifici e legati all’organizzazione del lavoro, alla sicurezza e alla salute : carenza di personale, turni, reperibilità, gestione di emergenze/urgenze e situazioni di profondo impatto emotivo , rischio di aggressione verbale e fisica. Gli studi confermano inoltre una forte associazione tra burnout e aumento del rischio di errore sanitario , di risultati scadenti per i pazienti ,di insoddisfazione e reclami.
A Milano si è svolto in questo fine settimana il 28° Congresso Nazionale della società scientifica FADOI (Federazione dei Medici Internisti Ospedalieri) ,nel corso del quale è stato presentato il risultato di un’indagine condotta su questo tema, intervistando circa 2000 professionisti sanitari : metà dei medici e poco meno degli infermieri che prestano la propria opera nei reparti di medicina interna, quelli che hanno più letti negli ospedali italiani, sono così stressati da andare incontro alla sindrome da burnout e da pensare al licenziamento. L’incidenza è particolarmente elevata ,più del doppio ,tra le donne, per la ovvia difficoltà di conciliare l’impegno del lavoro in ospedale con le necessità della vita familiare.
Il burnout è una minaccia sia per la salute degli operatori che per quella dei pazienti : a causa dello stress dei professionisti sanitari si calcolano circa 100.O00 errori/anno negli ospedali italiani.La letteratura scientifica ha ben documentato anche l’inpatto dello stress sulle malattie professionali : un studio americano pubblicato dall’European Society of Cardiology nel 2020, condotto su 11 mila soggetti a rischio, per 25 anni ,ha dimostrato l’associazione tra burnout e patologie cardiache e circolatorie : fibrillazione atriale ed altri disturbi del ritmo cardiaco , ictus e infarto .
Ne risulta un quadro sul quale bisogna riflettere ed intervenire : operatori depressi, stressati e in perenne carenza di sonno per carichi di lavoro sempre più insostenibili, emotivamente sfiniti, e non adeguatamente retribuiti.
La ricerca Fadoi rivela però anche un aspetto altamente positivo e qualificante : è forte il senso della propria “mission” e, nonostante le difficili condizioni di lavoro e i conseguenti risvolti negativi fisici e psichici, la maggior parte dei medici ed infermieri ritiene di aver affrontato efficacemente i problemi dei pazienti e di aver trovato realizzazione personale nella propria attività lavorativa.Un patrimonio grande su cui puntare per salvare la Sanità Pubblica , intervenendo per creare condizioni di lavoro adeguate per motivazione, formazione, retribuzione e sicurezza,in modo da rendere nuovamente attrattive per i giovani la professione medica ed infermieristica.