
Non esiste una definizione universalmente riconosciuta e accettata di appropriatezza in sanità. È un concetto complesso che deve tener conto dell’evidenza scientifica, del punto di vista del paziente e dei valori della società. Il suo uso , come criterio di valutazione delle cure, compare negli anni ‘80 ma prende impulso in Italia negli anni ‘90 , con l’aziendalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale . Nel Glossario del Ministero della Salute l’appropriatezza è definita come “un intervento sanitario (preventivo , diagnostico, terapeutico, riabilitativo ) che risponde al bisogno del paziente (o della collettività), fornito nei modi e tempi adeguati, sulla base di standard riconosciuti, con un bilancio positivo tra benefici, rischi e costi”.
Il termine “appropriatezza” ha assunto rilevanza diventando poi uno dei criteri per la definizione di LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) col Piano Sanitario Nazionale 1998-2000.
L’appropriatezza , con le sue due principali componenti, professionale e organizzativo/ amministrativa , è imprescindibile per la qualità e la sostenibilità di qualsiasi sistema sanitario. Per la Fondazione GIMBE ( Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze ) un servizio/intervento/ prestazione in sanità è appropriato quando viene erogato “alla persona giusta, nel momento giusto, nel posto giusto, per la giusta durata e dal professionista giusto”.
Dal punto di vista professionale quindi un intervento sanitario è appropriato quando è di provata efficacia secondo le evidenze ed è prescritto al paziente giusto nel momento giusto, per la giusta durata , con un profilo beneficio/rischio favorevole .
Dal punto di vista organizzativo un intervento sanitario è appropriato quando viene erogato nel posto giusto , dai professionisti giusti, impiegando una quantità appropriata di risorse .
Strettamente correlata al concetto di appropriatezza è la Medicina Basata sulle Evidenze (EBM) ; nata negli anni ‘90, è alla base di ogni pratica medica di qualità ed è il cardine delle Linee Guida di cui medici e operatori sanitari si avvalgono nel proprio lavoro.Integra le loro competenze ed esperienze con le migliori evidenze disponibili prodotte dalla ricerca scientifica, tenuto conto anche dei valori e preferenze del paziente , come pure delle condizioni cliniche dello stesso e del contesto reale in cui ci si trova ad operare . In Italia il movimento “Slow Medicine” promuove una medicina “sobria, rispettosa, giusta”, basata su sostenibilità, attenzione alla persona e all’ambiente , equità e appropriatezza delle prescrizioni e cure secondo la EBM. Il suo progetto “ Fare di più non significa fare meglio – Choosing Wisely Italy” , focalizza l’attenzione su esami diagnostici, trattamenti e procedure a rischio di “inappropriatezza” , non necessari o che possono essere dannosi, affinché le scelte dei pazienti/ cittadini siano informate e condivise e le risorse disponibili vengano utilizzate in modo appropriato , contrastando gli sprechi.
Secondo le stime della Fondazione GIMBE il 20% delle risorse della sanità pubblica italiana sarebbe “sprecato”. Senza entrare in ulteriori dettagli e percentuali gli sprechi e inefficienze della sanità pubblica sono collegabili a : frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, inefficienze amministrative e organizzative, destinazione di risorse a servizi e prestazioni non necessari , alla gestione degli effetti avversi dovuti a sovra-diagnosi e sovra-trattamento e del
peggioramento degli esiti di salute per mancata erogazione di prestazioni efficaci e appropriate. Per quanto riguarda la spesa sanitaria privata out of pocket( di tasca propria) il 40% sarebbe utilizzato dai cittadini per acquistare beni e servizi inefficaci e/o inappropriati ,dettati anche dal consumismo sanitario e che non determinano alcun miglioramento degli esiti di salute , o addirittura li peggiorano. L’Italia è il primo paese in Europa per out of pocket. Gli sprechi si annidano , come detto sopra , a tutti i livelli e le cause dell’inappropriatezza vanno ricercate nelle scarse e insufficienti risorse destinate alla sanità , nell’organizzazione dei servizi sanitari , nelle aspettative irrealistiche dei pazienti e pressione prescrittiva esercitata da loro sui medici , nella fiducia eccessiva riposta nella tecnologia , nell’aggressività delle strategie commerciali delle aziende , nella diffusione di una cultura della salute acritica nei confronti di un’informazione perlopiù scorretta sostenuta da siti internet, social media ed altro, nella espansione di assicurazioni e fondi sanitari e promozione di “pacchetti di prevenzione” (con proposte di esami di screening che illudono i cittadini circa la tutela della propria salute) , nella medicina difensiva .
Competenze, ruoli e responsabilità per affrontare questi problemi sono molteplici e diversi , ma ognuno è chiamato a portare il proprio fondamentale e responsabile contributo. Contenere l’inappropriatezza intervenendo solo sulle prescrizioni mediche è illusorio. Le politiche sull’appropriatezza , inoltre, dovrebbero essere finalizzate non tanto a contrarre la spesa sanitaria quanto a ridistribuire le risorse , disinvestendo e riallocando e aumentando adeguatamente gli investimenti per il miglioramento dei servizi , il finanziamento dell’ innovazione e della digitalizzazione, e non ultimo l’adeguamento delle retribuzioni del personale sanitario.
I medici , consapevoli del proprio ruolo, sono chiamati e impegnati a garantire l’equità in salute attraverso l’appropriatezza costantemente aggiornata e le buone pratiche , contrastando sovradiagnosi , sovratrattamenti e medicina difensiva : un dovere professionale per garantire più cure, più giuste , per più persone. Anche i cittadini possono e devono usare , informati e responsabili, i servizi del sistema sanitario ,che non può contare su risorse illimitate, di modo che possa rimanere sostenibile. È fondamentale contrastare la “medicalizzazione” della vita che vorrebbe far coincidere il concetto di salute con quello di prestazioni sanitarie.
N. Comper